Intervista di Alessandra Ricciardi, caposervizio di ItaliaOggi, responsabile settimanale Azienda Scuola.
«Sì all’educazione sessuale biologica, all’educazione affettiva e relazionale, no all’indottrinamento sulle teorie di genere: vogliamo difendere i bambini», dice Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione e del Merito, a margine del Salone dello Studente di Roma.
Valditara ritorna sulle polemiche che hanno investito il disegno di legge governativo sul consenso informato e precisa: «C’è chi non ha letto cosa dice la legge, o chi lo ha fatto ma ha voluto travisare i fatti per fare propaganda. L’educazione sessuale non è vietata». Annuncia inoltre: «In questi giorni arriverà una lettera ai genitori in cui diamo elementi per scegliere con consapevolezza il percorso scolastico futuro», in vista delle iscrizioni di gennaio 2026, «ogni giovane ha un proprio talento, che va individuato e valorizzato con l’impegno». Più peso poi alla cultura del lavoro e alle materie professionalizzanti negli istituti tecnici: «Tenere fuori il lavoro dal mondo della scuola significa fare il male dei nostri ragazzi». E basta dire che l’Italia è fanalino di coda in Europa nelle materie scientifiche: «È una sciocchezza. Chi invita a guardare ai modelli nordici ignora che, secondo i dati PISA, in alcune regioni italiane vi sono rendimenti migliori della Finlandia e della Germania. Il sistema scolastico italiano funziona: bisogna investire nelle aree fragili per dare supporto a genitori, studenti e insegnanti. È ciò che facciamo con Agenda Sud e Agenda Nord».
Ministro, dal prossimo anno sarà possibile fare educazione sessuale nelle scuole: sì o no?
È stata fatta molta confusione. C’è chi non ha letto cosa dice la legge sul consenso informato, o chi lo ha fatto ma ha voluto travisare i fatti per fare propaganda. L’educazione sessuale non è vietata. Dire che non si potrà più parlare di organi sessuali, riproduzione o malattie sessualmente trasmesse è falso: questi contenuti sono previsti nelle Indicazioni nazionali, alle medie e perfino alle elementari quando si studiano le funzioni del corpo umano. Altra cosa invece è l’indottrinamento sulle teorie relative alla fluidità di genere, che qualcuno vorrebbe poter fare liberamente anche con bambini di 6 anni. Noi diciamo no: sono tematiche complesse, che se affrontate devono essere spiegate da psicologi e medici con un approccio scientifico e non ideologico, e solo quando si inizia ad avere un’età di maggiore consapevolezza. Ecco perché abbiamo previsto che siano vietate per infanzia e primaria e possibili dalle medie in poi, quando servirà il consenso preventivo dei genitori dei minorenni.
Perché il consenso delle famiglie?
La famiglia è deputata costituzionalmente all’educazione e su temi eticamente così delicati è importante che sia coinvolta nelle scelte che riguardano i propri figli.
Il consenso è richiesto anche per ciò che è previsto nei programmi scolastici?
No, tutto ciò che è nei programmi si insegna senza nessun consenso.
Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Come siamo messi in quanto ad educazione al rispetto?
Anche qui è stato sollevato un inutile polverone, c’è chi ha addirittura sostenuto che noi, vietando l’educazione sessuale, indeboliremmo la lotta contro i femminicidi. Per la prima volta l’educazione al rispetto, a relazioni sane e corrette, all’empatia e la lotta contro la violenza sulle donne è invece nei programmi scolastici come già nelle nuove Linee guida sulla educazione civica e rappresentano un chiaro obiettivo di apprendimento. Lo abbiamo fatto noi, non lo hanno fatto i governi di sinistra. I corsi sono partiti lo scorso anno e nel 70% dei casi i docenti hanno registrato un miglioramento nei comportamenti dei giovani.
Siamo in piena stagione di open day: a gennaio i genitori devono scegliere la scuola per i propri figli. Come state supportando questo momento?
L’orientamento è un tema strategico, perché sbagliare indirizzo di studi rischia di compromettere non solo il percorso scolastico ma anche l’inserimento nel mondo del lavoro. Per questo abbiamo rafforzato il legame tra scuola, famiglie, territorio e imprese. Nella lettera che arriverà alle famiglie degli studenti di terza media indicheremo le qualifiche più richieste, i principali percorsi formativi e i dati sul mercato del lavoro, così da aiutare a capire e scegliere consapevolmente.
Dal prossimo anno ogni istituto tecnico e professionale dovrà offrire la possibilità di diplomarsi in quattro anni, con più materie professionalizzanti, e poi proseguire verso il lavoro, gli ITS o l’università. Non si rischia di indebolire le competenze di base?
La riforma 4+2, che abbiamo fortemente voluto, introduce una novità: il potenziamento di italiano, matematica e inglese, dunque delle materie di base, in cui tradizionalmente gli istituti tecnici e professionali sono più deboli. La formazione professionale regionale in Lombardia, mostra nel percorso quadriennale, performance superiori ai percorsi professionali quinquennali statali nelle materie di base. Così come nei principali Paesi europei, a iniziare dalla Germania, i percorsi sono quadriennali. È la conferma che conta la qualità, non la quantità. Introdurremo anche le soft skills, sempre più richieste dal mercato del lavoro.
Veniamo da una lunga stagione in cui la scuola doveva fare la scuola e il lavoro doveva restare fuori.
È una logica fuori dal tempo. Nel rispetto dei diversi ruoli, il rapporto con le imprese è cruciale: mercoledì ero a Caivano, dove un consorzio di imprese che genera un fatturato di 5 miliardi cerca 400 tecnici qualificati e non li trova. Quattrocento giovani rischiano di perdere opportunità molto ben retribuite, e le aziende rischiano di perdere competitività. Ecco perché il 4+2 è la grande sfida.
La scuola è pronta a raccoglierla?
Le scuole sono molto più avanti di quanto spesso si racconta. Certi scontri ideologici che guardano al passato non trovano riscontro nella realtà. Incontro tanti studenti e insegnanti: sono proiettati verso il futuro.
Da quest’anno niente cellulari in classe anche alle superiori. Ma lei ha anche incentivato la sperimentazione dell’Intelligenza Artificiale nelle scuole.
Sugli smartphone ribadisco: niente cellulari in classe, ed è necessario evitarli anche nell’intervallo per recuperare socialità e relazioni. Gli studi sono concordi: l’uso precoce e intensivo di smartphone e social riduce i rendimenti scolastici, compromette lo sviluppo psico-emotivo e crea dipendenza. Diverso è il discorso dell’Intelligenza Artificiale: può aiutare a personalizzare la didattica, sotto la guida e la supervisione dei docenti. La sperimentazione è in corso in Calabria, Lombardia, Lazio e Toscana e dal prossimo anno 15.000 studenti fragili in Campania avranno assistenti virtuali, come anche in Liguria e Piemonte. A Napoli con Scuola Futura abbiamo dedicato cinque giorni al primo summit mondiale su scuola e IA, con esperti da tutto il mondo: perché i grandi processi di trasformazione vanno capiti e guidati, non subiti.
Vietare il cellulare a scuola può essere semplice, ma poi i ragazzi escono da scuola e lo riprendono.
Bisogna insegnare l’uso corretto delle tecnologie: lo prevediamo nell’Educazione civica. E devono essere coinvolti anche i genitori. Non si può lasciare un bambino da solo con un cellulare, peggio ancora a navigare: i rischi sono enormi. Il no di un genitore in questo caso è un gesto di amore. (riproduzione riservata)
Alessandra Ricciardi