“Il Servizio Civile è un ponte tra crescita personale e professionale per le nuove generazioni”

Marco De Giorgi spiega come e perché partecipare al progetto nell’Anno Europeo dei Giovani
“Nel 2022 abbiamo dato l’opportunità a circa 65mila ragazzi di vivere l’esperienza straordinaria del Servizio civile ed essere coinvolti in progetti di cittadinanza attiva e formazione sul campo, con il riconoscimento di una indennità mensile, dando così un forte contributo agli obiettivi dell’Anno che l’Unione Europea ha voluto dedicare ai giovani: molti di questi ragazzi restano in contatto con le realtà dove prestano la loro opera e sviluppano capacità relazionali che li aiutano a trovare lavoro dopo gli studi”. Cosi Marco De Giorgi, Capo dipartimento alle Politiche giovanili di Palazzo Chigi, traccia un bilancio dell’Anno Europeo dei Giovani 2022 e anticipa le iniziative 2023, Anno dedicato dalla Ue alle competenze per il miglioramento della occupabilità delle nuove generazioni.
“Il Servizio Civile Universale ha compiuto da poco 20 anni (Legge istitutiva 64/2021) e coinvolge oltre 60mila giovani under 29 ogni anno, a fronte di circa 85mila richieste, in attività e progetti di cittadinanza attiva e volontariato altamente formativi. Numeri eccellenti, che sarebbero ancora più elevati se potessimo offrire più posti, e se i giovanissimi sapessero che il periodo è retribuito con 450 euro mensili, che per un neo maggiorenne o uno studente universitario, diviso fra completamento della formazione e primi tirocini, rappresenta un riconoscimento sociale e una motivazione in più”, così Marco De Giorgi, Capo dipartimento alle Politiche giovanili di Palazzo Chigi, sintetizza i dati del progetto. Nel 2022 il Servizio Civile Universale si è intrecciato con l’Anno Europeo dei Giovani. Per questo con il dirigente delle Politiche giovanili tracciamo un bilancio di entrambi e guardiamo al loro sviluppo nel 2023.
Servizio Civile Universale e Anno Europeo dei Giovani si rivolgono entrambi alle nuove generazioni, che cos’hanno in comune a parte il target?
Anzitutto il problema di fondo dell’emergenza giovanile: la condizione di isolamento che i giovani hanno vissuto a causa della pandemia e il mismatch tra mondo della scuola, formazione e mercato del lavoro. Da un lato le aziende si lamentano che i ragazzi non hanno le competenze adatte alle nuove professioni, dall’altro i giovani non trovano collocazioni lavorative idonee al loro livello di specializzazione. È un tema che abbiamo trattato sia nel Piano Neet sia nell’incontro con le scuole. Il secondo obiettivo comune è quello di riportare i ragazzi nei luoghi della socialità, motivarli, rafforzarli nelle loro competenze e, con progetti specifici, avvicinarli all’imprenditoria, all’educazione finanziaria e alla cultura d’impresa. Si tratta di ambiti che ai giovani italiani sono abbastanza estranei, a meno che non siano figli di imprenditori.
Quali sono le principali caratteristiche del Servizio Civile?
Si tratta di un’esperienza straordinaria di cittadinanza attiva ma anche di rafforzamento delle competenze. I ragazzi hanno l’opportunità di collaborare, nell’ambito dei progetti promossi dagli enti di servizio civile, ad attività altamente formative, della durata di 12 mesi. Vi possono accedere giovani tra i 18 e i 28 anni, che hanno l’opportunità di svolgere il proprio operato in numerosi settori: solidarietà, assistenza sociale, tutela ambientale, del patrimonio artistico, librario e culturale. E in attività di grandissima utilità sociale: per esempio nei Comuni, aiutando gli anziani a svolgere le proprie pratiche a contatto con la pubblica amministrazione con il servizio civile digitale che stiamo sperimentando negli ultimi anni. Le realtà dove i ragazzi operano sono enti e associazioni di servizio civile molto attivi sul territorio ed iscritti all’albo gestito dal Dipartimento politiche giovanili. Al termine del Servizio Civile ci proponiamo di offrire anche una certificazione delle competenze acquisite da questi giovani, rafforzando i loro cv e migliorandone le chance di trovare lavoro.
Esiste la possibilità di continuare l’esperienza lavorativa al termine del progetto?
Abbiamo svolto una ricerca interessante con Inapp, Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, (ex Isfol) che dimostra come chi lavora col Servizio Civile vede accrescere il proprio livello di occupabilità, tanto che il 50% trova lavoro nell’anno successivo, non solo perché ha acquisito competenze ma perché è entrato in un circuito di relazioni sociali che ne ha migliorato le chance.
Quanti giovani coinvolge il programma?
Nel 2022 il bando di reclutamento ha raggiunto la cifra record di 64mila partecipanti; nel pre-pandemia era arrivato a 54mila nel 2019 e 48mila nel 2018. Il balzo è dovuto anche allo stanziamento del Pnrr, che ha assegnato al nostro dipartimento 650 milioni di euro nel periodo 2021/23. Numeri centuplicati rispetto ai primi anni Duemila: quando il programma è nato in forma volontaria – e non più sostituiva della leva – si arrivava a 400/500 persone al massimo. Un’espansione simile ha comportato un investimento di energie e risorse che si traduce sia in esperienze umane di solidarietà che di crescita professionale.
Chi vuole partecipare al Servizio Civile che cosa deve fare?
Entro dicembre pubblicheremo il nuovo bando per circa 60mila candidati. Molto probabilmente lo presenteremo in occasione della Giornata nazionale che si celebra il 15 dicembre. Associazioni ed enti che vogliono proporre progetti debbono iscriversi precedentemente all’Albo del nostro Dipartimento, proponendo progetti che vengono valutati a valle di un Avviso pubblico. Una volta che questi progetti sono approvati dal nostro Dipartimento vengono messi a bando per i giovani che sono interessati a ricoprire i ruoli proposti che, come già accennato, spaziano in numerosi settori e sono illustrati in dettaglio nella legge istitutiva numero 64 del 2001: dai beni architettonici al digitale alla solidarietà. Gli enti proponenti sono ad esempio associazioni come le Acli, circoli Arci, Caritas, Fondazioni, Croce Rossa, confcooperative, etc.
Un giovane interessato che iter deve seguire?
Sul portale del nostro Dipartimento www.politichegiovanili.gov.it può consultare in dettaglio tutti i progetti approvati. In seguito, si collega ai siti delle associazioni proponenti e si candida a quelli cui è interessato, quindi sostiene un colloquio con la realtà dove vuole andare ad operare, e in cui sarà impegnato dagli da 8 a 12 mesi, percependo un’indennità di circa 450 euro al mese.
Dal Servizio Civile sono scaturiti altri progetti?
Abbiamo lanciato due nuove sperimentazioni: il Servizio Civile Digitale e il Servizio Civile Ambientale. Il primo punta a ridurre il gap che separa i giovani dagli anziani: i primi svolgono il ruolo di facilitatori digitali, per esempio aiutando gli anziani a usare tablet e pc, a generare uno spid o aprire una pec. In questo modo da un lato rafforzano le proprie skills digitali, dall’altro operano da ponte transgenerazionale verso categorie più deboli e che hanno meno dimestichezza con gli strumenti informatici. Il secondo, il Servizio Civile Ambientale, consiste non solo nel pulire parchi e spiagge, attività comunque utile e meritoria, ma nel partecipare a sperimentazioni di green e blue economy ed economia circolare. Entrambi i progetti puntano a migliorare l’occupabilità dei ragazzi. Non a caso stanno riscontrando grande successo fra i next gen.
E poi avete anche un obiettivo su scala internazionale…
Nell’ambito dell’Unione europea, si sta ragionando molto sul Servizio Civile Europeo, sotto la spinta prima della presidenza francese e poi di quella ceca della Commissione. Le pratiche nazionali considerati migliori, la nostra e quella francese, stanno agendo da format per conferire al progetto un respiro internazionale, sia per favorire scambi giovanili fra vari Paesi, sia nell’ottica di un mercato del lavoro continentale più fluido e integrato.
L’Anno Europeo dei Giovani 2002 intanto volge al termine: qual è il suo bilancio?
Ci stiamo interrogando, anche con i nuovi organi politici, su quale ne sia l’eredità e quale esperienza abbiamo imparato a stretto contatto con organizzazioni e associazioni giovanili. Alcune riflessioni sono state esposte anche nell’ambito del recente Congresso del CNG, Consiglio nazionale dei giovani, svoltosi nel weekend del 9 e 10 ottobre al Palazzo delle Esposizioni di Roma insieme a tante loro organizzazioni: il principale problema da affrontare è quello di supportare i giovani in percorsi di autonomia sociale, abitativa, lavorativa, specie dopo lo shock della pandemia.
I ragazzi come li avete coinvolti?
Assieme all’Agenzia nazionale giovani, abbiamo creato una Rete di giovani ambasciatori: 46 ragazzi molto in gamba, circa due per regione, selezionati per curriculum e videocall. Prima gli abbiamo erogato un periodo di formazione, in seguito li abbiamo invitati ad andare nei territori per farsi promotori sia dei progetti giovanili, sia del collegamento tra Stato, Regioni e Comuni sulle azioni per i next gen. Li abbiamo portati due volte a Bruxelles per prendere confidenza e dimestichezza con gli uffici europei e adesso stanno agendo da moltiplicatori in tutte le regioni: vanno nelle scuole e nelle università a raccontare tutte le opportunità del Servizio Civile, della piattaforma www.Giovani2030.it, del programma Erasmus. È un format che sta funzionando molto bene e che proseguiremo anche nel 2023 ampliando la rete di questi ragazzi per rafforzare lo scambio peer to peer.
Il 2023 sarà stato dichiarato Anno Europeo delle Competenze: quali iniziative saranno promosse?
Vogliamo proseguire e rafforzare le iniziative del 2022 partendo proprio dalla legacy dell’Anno dei giovani. La principale sfida delle politiche giovanili è l’investimento sulle competenze del futuro, necessarie a migliorare il livello di occupabilità delle nuove generazioni. Uno dei progetti su cui puntare si chiama Repubblica Digitale inserito nella missione 1 del Pnrr, riguarda le digital skills, è svolto con numerose associazioni giovanili, specie del Sud, e serve a rafforzare le competenze digitali in modo concreto: ripetiamo spesso il mantra di ragazzi che stanno sempre su telefonini, tablet e social, ma se gli chiediamo di realizzare file di excel magari entrano nel panico e chiedono aiuto. Poi dobbiamo rafforzare le loro competenze relazionali, la loro capacità di lavorare in gruppo: le cosiddette soft skills che possono essere imparate non tanto a scuola o in università ma con strumenti di apprendimento che chiamiamo ‘non formale’. Come appunto il Servizio civile.
Al Salone dello Studente il Dipartimento per le politiche giovanili che cosa presenta?
Partecipiamo per rendere più conoscibili tutte le opportunità messe in campo, compresi i programmi sperimentali e quelli che vengono dall’Unione Europea come Erasmus, Corpo Civile di Solidarietà Europeo e tutti quelli presenti nel portale Giovani 20.30, https://giovani2030.it, di volontariato, lavoro e formazione professionale per i 14/35enni, e che vogliamo far conoscere a tutte le scuole. E poi illustriamo le tante agevolazioni messe in campo da Stato, Regioni e Comuni per i giovani, dal bonus affitti al fondo prima casa, dalla Carta Giovani agli incentivi per l’imprenditoria giovanile. Abbiamo una newsletter che già inviamo a 15mila iscritti. Vorremmo che la nostra piattaforma Giovani2030.it iventasse la carta digitale di tutti i ragazzi.
Che tipo di utilità può avere l’iniziativa di Campus per i giovani e per le scuole?
Il Dipartimento politiche giovanili e Salone dello Studente hanno gli stessi ruoli: aiutare i giovani a trovare le strade e le competenze per la loro vita. Dobbiamo aiutarli nell’orientamento e nell’informazione. Per esempio, moltissimi non conoscono il bonus affitti, i nuovi programmi Erasmus 2021-27 e altri servizi loro dedicati: serve proporre, nel modo più intelligibile e chiaro, tutto il ventaglio delle opportunità esistenti. Alla scuola spetta invece il compito di aiutarli a valorizzare i loro talenti. Ma fra le scuole e tutte le nostre istituzioni servono interazioni, mappe geo-referenziate integrate e multilivello che promuovano occasioni per i giovani. Servono iniziative come Campus, che incentivano la comunicazione fra pari, perché i ragazzi hanno diffidenza verso la politica, le istituzioni e i grandi media tradizionali. A parlare di Servizio Civile, per esempio, noi stessi portiamo coloro che vi hanno partecipato. Se andassi io come dirigente pubblico otterrei meno attenzione.
A fronte di così tante opportunità, però, i neet in Italia continuano a crescere: sono il 23,3% contro il 13,7% della media europea, e salgono al 29,4% fra gli under 30. Come mai secondo lei?
Dipende anzitutto da due fattori: da un lato c’è in Italia una forte cultura familistica per cui i ragazzi vivono in una sorta di welfare familiare e non lasciano la propria origine per iniziare un lavoro magari lontano e mal retribuito per costruirsi uno futuro; dall’altro persistono sacche di lavoro nero, specie al Sud, dove i giovani preferiscono il mercato irregolare e non accettano di emergere, di passare al lavoro regolare, senza rendersi conto di mancare così un vero investimento sul proprio futuro.
Come pensate di arginare questa dispersione giovanile?
Abbiamo appena elaborato un Piano nazionale per i neet, con il supporto di alcuni esperti come il professor Alessandro Rosina dell’Università Cattolica, che si base su tre punti: in primo luogo favorirne l’emersione, perché spesso i neet neppure si rendono conto di essere tali. La seconda sfida è attivarli e offrire loro stimoli affinché tornino a coltivare interessi: non necessariamente di lavoro, all’inizio bastano anche percorsi di inclusione sociale, tipo volontariato e servizio civile. In terzo luogo, informarli per dare loro un’opportunità di autonomia nel mondo del lavoro regolare. Quest’ultima è più propriamente una sfida del Ministero del lavoro e delle politiche sociali con cui il nostro dipartimento collabora da anni. I neet sono un grandissimo spreco di risorse umane: da un lato ci lamentiamo del basso tasso di natalità, dall’altro quei pochi giovani che ci sono non li valorizziamo: 3 milioni di ragazzi che non studiano, non lavorano e sono fuori da qualsiasi circuito di formazione sono una bomba sociale per l’intero Paese.
I giovani si sentono impotenti di fronte alle scarse opportunità che offre l’Italia, tanto che negli ultimi 10 anni è cresciuto il fenomeno dei cervelli in fuga. La colpa non è anche di un Paese come il nostro che non offre abbastanza opportunità?
Senz’altro. Però esistono anche esempi virtuosi. La sfida è far conoscere quelle buone pratiche di innovazione che possono creare spazio di qualità per le nuove generazioni. Abbiamo poli di eccellenza che dobbiamo rendere più visibili ai giovani. E tante nuove start up, che però a volte scontano il fatto di essere motivate più dalla rincorsa ai finanziamenti, oppure di essere guidate da ragazzi che si improvvisano imprenditori senza un’educazione finanziaria e imprenditoriale. Dobbiamo creare nuovi hub realmente attrattivi, che siano frutto dell’interazione fra scuola, università, enti pubblici, organizzazioni produttive e mondo imprenditoriale.
Che richiesta mandate al nuovo Governo?
Di rendere il Servizio Civile veramente universale: adesso su 84mila domande possiamo assegnare solo 60mila posti. Vorremmo invece accontentare il 100% delle richieste che ci arrivano e per le quali serve incrementare i fondi già con la prossima legge di bilancio.
Il vostro prossimo appuntamento nazionale?
Il 15 dicembre: giornata nazionale del Servizio Civile Universale, con centinaia se non migliaia di ragazzi italiani. La città sede dell’incontro sarà definita a metà novembre e comunicata sia su www.politichegiovanili.gov.it che su www.giovani2030.it
Testo di Ottaviano Nenti