Il futuro del lavoro in un mondo che cambia

Campus Giovani – Job Week, Il Salone del Lavoro e delle Professioni

Seconda puntata di Campus Giovani, la trasmissione di Class Cnbc, che ha seguito i lavori della Campus Job Week, l’evento digitale di Campus dedicato al mondo del lavoro e delle professioni, online sul sito www.salonedellostudente.it, dal 14 al 16 dicembre. La puntata è dedicata a un tema fondamentale: come evolve il lavoro a fronte di un mondo che sta cambiando, come la tecnologia e il digitale stiano modificando profondamente la nostra società e quanto la scuola italiana sia pronta ad affrontare queste nuove sfide. La realtà che più è investita dalla rivoluzione tecnologica in atto è sicuramente il lavoro: nuove professioni emergono, vecchi lavori cessano in un processo di cambiamento rapido al centro del quale si muovono i giovani che, spesso, per prepararsi a un mondo completamente nuovo, iniziano un percorso scolastico ancora molto, forse troppo, tradizionale. Domenico Ioppolo, amministratore delegato di Campus Editori e conduttore della trasmissione, ha fatto il punto della situazione con Roberto Curtolo, dirigente dell’USR Toscana, Guido Vimercati, founder di Hurrah.eu, Gianluca Orefice, direttore Human Capital, Organization and Hse di Autostrade per l’Italia, Elisa Pettenati, talent Acquisition Learning and Development Director di Carrefour Italia e Michele Lettieri, presidente dell’Accademia Iuad.

 

UNA SCUOLA IN EVOLUZIONE PER AFFRONTARE LE NUOVE SFIDE
Dottor Curtolo, a che punto è la nostra scuola italiana? Quanto è pronta per rispondere alle nuove sfide che il mondo ci sta lanciando? Sta cambiando? O come deve evolvere per adeguarsi alle tendenze in atto?

Curtolo: La scuola italiana è attraversata da un profondo cambiamento di natura tecnologica. Il Pnrr sta investendo in modo particolare sulla formazione digitale, sia per gli studenti che per i docenti. Questo è importante perché incide sugli ambienti d’apprendimento che ci consentono di modificare anche l’approccio didattico e tecnologico al sistema. Cosa vuol dire? Cambiando il luogo in cui gli studenti ricevono la propria formazione e dove i docenti insegnano, cambia anche l’approccio metodologico che i docenti stessi possono utilizzare e, di conseguenza, cambiano anche i sistemi di apprendimento e formazione. Un aspetto importante perché ancora abbiamo una scuola vissuta in aula, in modo frontale, con modalità formative ancora legate a vecchi schemi. Quindi prima ancora di intervenire sugli aspetti organizzativi, è importante scardinare il modello e il luogo nel quale i ragazzi apprendono. Questo consente una maggiore flessibilità nella visione successiva, nell’approccio alla formazione universitaria o comunque terziaria. Se noi colleghiamo la modifica dell’approccio didattico e del luogo di apprendimento, anche l’orientamento assumerà una funzione diversa e cambierà quindi anche la capacità dei ragazzi di recepire le novità del mondo del lavoro. Diventerà più facile per loro comprendere la flessibilità e la mobilità tipiche del mondo del lavoro attuale. La sfida che le scuole sono chiamate a svolgere, nel quadro dell’Agenda 2030 e del Next Generation Youth, è un cambiamento di visione del mondo, del quadro di riferimento in cui la modalità di apprendimento è inserita. Aggiungo poi un’altra riflessione. Il Pnrr pone degli obiettivi e dei finanziamenti ad hoc su quello che è un limite verificato in alcune scuole: i divari che riguardano le possibilità di accesso e di sviluppo di competenze adeguate agli standard nazionali, per poter poi proseguire gli studi e approcciare il mondo del lavoro, nelle tre competenze fondamentali, italiano, matematica, inglese.  Si è rilevato che l’8% dei nostri ragazzi è al di sotto dei limiti accettabili. Se non si colmano questi gap è difficile orientare in modo corretto i ragazzi. La scuola italiana ce la può fare se segue le sue punte di diamante, i modelli innovativi già inseriti nel contesto didattico. A questo proposito, mi sento di dare un consiglio ai genitori: è giusto da un lato assecondare le richieste dei figli, ma dall’altro è importante essere in grado di leggere l’offerta formativa pubblica e paritaria perché le scuole sono entità autonome, hanno possibilità di offerte formative diverse, quindi è bene porsi nella condizione di poter scegliere fra più opzioni per ogni singolo indirizzo, andando così a individuare la scuola che più si adatta sia alle attitudini del figlio sia alle richieste del mondo del lavoro.

 

LE LINEE DI TENDENZA DEL MERCATO DEL LAVORO: I  NUOVI PROFILI RICHIESTI
Guido Vimercati è founder di Hurrah.eu, un data base con più di mezzo milione di ricerche e offerte di lavoro. Come funziona la vostra piattaforma e quali sono le linee di tendenza che emergono da numeri così importanti?

Vimercati: Hurrah.eu, start up operativa da pochi mesi, parte da un bisogno forte, il mismatch tra domanda e offerta nel mondo del lavoro, a fronte di una disoccupazione giovanile che in Italia è ancora alta. Cerchiamo di contribuire a risolvere questo problema in due modi: tramite la tecnologia che ci ha consentito di creare un market place, una sorta di AirB&B del lavoro dove possano incontrarsi candidati e aziende, formazione e impresa. Due mondi che ancora non parlano la stessa lingua: il mercato del lavoro cerca skill, la formazione risponde con crediti formativi. Per conciliare i linguaggi Hurrah.eu ha creato l’alfabeto delle skill, una tassonomia che mette in collegamento il mondo della formazione, fatto di materie, esami, crediti, con le skills richieste dal mondo del lavoro. E l’abbiamo fatto a livello europeo perché uno dei grandi limiti del mercato è che anche global player come Linkedin o Indeed hanno società locali e lavorano a livello locale. Noi invece abbiamo creato un mercato del lavoro che è internazionale per definizione perché mette in contatto studenti d’Europa con aziende d’Europa, scuole d’Europa con imprese d’Europa. Abbiamo mezzo milione di offerte di lavoro, stage, tirocinio, apprendistato, lavoro stagionale, part time dedicate alla fascia 17-30 anni. Il database viene processato, quindi aggiornato, ogni 24 ore. Quali sono le tendenze forti ed evidenti? Sicuramente le professioni più ricercate sono quelle con un profilo STEM, le materie tecniche sono le più richieste e anche le più equivalenti. Nel senso che un laureato in Fisica a Varsavia, a Berlino, a Milano ha studiato le stesse cose, magari in inglese, e quindi il suo profilo può essere ricercato in vari Paesi.

 

LE SOLUZIONI DA METTERE IN CAMPO PER RISOLVERE IL PROBLEMA DEL MISMATCH TRA SKILL RICHIESTE E COMPETENZE OFFERTE
Dottor Orefice, stiamo parlando di rivoluzione tecnologica e digitale. Lei è direttore Human Capital di un’azienda, Autostrade per l’Italia, che evoca professioni tradizionali, solide, materiche. Ma anche voi state guidando un forte cambiamento in direzione digitale, giusto?

Orefice: Un’azienda come Autostrade per l’Italia coniuga tradizione e innovazione. La nostra è un’impresa che fa manutenzione, esercizio e costruzione della rete autostradale, ma immaginare la rete sganciata dalla rivoluzione tecnologica sarebbe antistorico. Autostrade per l’Italia, affrontando la complessità di una storia recente che ha messo in discussione anche l’integrità stessa dell’asset, ha dovuto ricostruire la sua base di identità lavorando sulle conoscenze funzionali a garantire che l’asset non fosse soltanto la materialità dell’autostrada ma anche l’immaterialità dei dati, le smart city, le smart road, la connettività, l’immaginare di essere in un prossimo futuro un’autostrada per auto a guida autonoma. Insomma, l’azienda ha iniziato un percorso che ha anche fare con il futuro, non dimenticando però i mestieri. Ecco perché tradizione e innovazione da noi coesistono. Abbiamo affrontato la complessità del mondo attuale con vari strumenti quali la formazione, le scuole di mestiere all’interno, le academy, acquisendo forti relazioni e partnership con il mondo universitario. Stiamo lavorando a un progetto, “Distretto Italia”, che unisce le forze di aziende, istituzioni, università e scuole per orientare i giovani alla scoperta della loro vocazione professionale e fornire alle aziende quei profili tecnici di cui hanno bisogno per sostenere gli investimenti del Pnrr. Un network di imprese con nomi come Enel, Eni, Poste, Fincantieri, Ferrovie dello Stato, Bnl e tante altre grandi aziende del Paese. Uniti per riorientare i giovani al lavoro con un lessico e una grammatica diversi perché il mismatch tra competenze richieste e conoscenze offerte è troppo ampio. La scuola sta facendo la sua parte, ma scontiamo ancora una forte debolezza del sistema Paese. Abbiamo una scuola che ha problemi sia di strutture sia di adeguamento (e la grande impresa deve fare uno sforzo sussidiario e di interazione con il mondo scolastico). C’è un fenomeno di grande dispersione scolastica, ma abbiamo nello stesso tempo la necessità di mettere a terra oggi le cantierizzazioni che dovremo sviluppare per il Pnrr. Da qui il grido di allarme dell’Ance (Associazione nazionale costruttori edili, ndr) che stima in 150mila i profili e le risorse da cercare sul mercato. Abbiamo una scuola tecnica che non è più la vocazione delle famiglie, e forse non lo è mai stata, e un’ampia dispersione universitaria. Ma stiamo lavorando per fare in modo che, grazie alle best practise messe in campo dalle grandi imprese del Paese, si possa arrivare a garantire un bacino ci competenze adeguate. Il tutto è da farsi in tempi rapidi, con l’urgenza di recuperare nella scuola la capacità di supportare la formazione dei formatori, con il supporto alla docenza. È importante tornare a orientare attraverso il Pcto (Percorsi per le competenze traversali e l’orientamento, ndr), che deve addirittura partire dalla scuola primaria, anticipando i meccanismi.
Lo sforzo che la grande impresa italiana sta facendo è quello di orientare, lo stesso obiettivo di Campus. Perdere per strada i giovani è un costo, per il ragazzo, per la famiglia, per la società…
Orefice: Non possiamo permetterci questa forma di dispersione sociale. Torno sul tema delle Stem: implementare la capacità di portare a bordo tutti e soprattutto le donne, perché il digital divide può allargare ancora di più questo mismatch, è un dovere del Paese e delle grandi imprese. Lo sviluppo passa anche da questa capacità. Noi stessi stiamo diventando una service science factory, lavoriamo con i dati perché l’utente possa beneficiare al massimo del suo viaggio. Abbiamo assunto 2.900 persone in una fase critica come quella pandemica che ha flagellato il mondo del lavoro e ha influito anche sulla capacità delle aziende di essere attrattive. Le imprese hanno dovuto cambiare i propri linguaggi. Questo ci ha fatto avvicinare al mondo del lavoro giovanile che richiede strumenti alternativi nel legame all’impresa. Infine è importante sottolineare che dobbiamo tutti avere una grande capacità di preparazione costante, di adeguamento al mondo che cambia, e questo lo si impara tramite il lifelong learning.

NUOVE PROFESSIONI ANCHE NELLE AZIENDE TRADIZIONALI
Dottoressa Pettenati, parlando di Carrefour, ci si immagina una rete di supermercati e punti vendita, una visione tradizionale. Eppure io credo che mai come da voi stia arrivando la rivoluzione digitale e quindi l’esigenza di cercare nuove skill. È così?

Pettenati: Sì, la nostra azienda sta affrontando una grande trasformazione digitale per affrontare un mercato sempre più dinamico e imprevedibile, con clienti che hanno esigenze sempre più varie, un mercato omnicanale che connette il mondo fisico dei nostri punti vendita al mondo e-commerce, un aspetto che stiamo sviluppando in modo importante. Questo cambiamento richiede, per forza di cose, un’evoluzione dei ruoli che coltiviamo nella nostra organizzazione e delle competenze che richiediamo. Sia attraverso la ricerca di giovani che vogliano sperimentarsi con nuove professioni sia attraverso un’operazione di reskilling, di riqualificazione delle nostre risorse interne. Parliamo di competenze digitali, della conoscenza di strumenti di tool e di mindset, di approccio. Abbiamo più di 300 ruoli nella nostra azienda, dai punti vendita a chi lavora nel marketing, nell’e-commerce, professioni che richiedono competenze tecniche che si fatica a trovare. Le modalità del lavoro sono in evoluzione, sono richieste più agilità, una forte propensione all’innovazione, alla sperimentazione, all’apertura e al cambiamento, quindi una buona dose di flessibilità e una certa rapidità di esecuzione. Serve essere, come si dice adesso data driven, ossia avere un approccio molto orientato ai dati, con una forte conoscenza del mondo digitale.

 

L’ECCELLENZA MODA E IL CASO DELLE PROFESSIONI POCO CONOSCIUTE
Nel panorama del lavoro italiano ci sono tante aree di eccellenza, una di queste è sicuramente il mondo della moda, con le nostre scuole riconosciute in tutto il mondo. In questo contesto il mismatch è meno evidente? C’è forse un maggiore rapporto tra formazione e richieste del mondo del lavoro?

Lettieri: Il modello dell’accademia in generale risponde a questo: saper pensare e saper fare. Questo approccio, tipico della formazione delle accademie d’arte, ha sempre favorito la nostra attività anche in termini di placement, cioè dell’entrata dei giovani nel mondo del lavoro. Nell’ambito del nostro settore esistono alcune figure professionali ricercatissime, penso per esempio al mondo delle calzature, che i giovani non conoscono per niente. È un problema di orientamento… C’è uno scollamento tra le scuole secondarie superiori, il mondo accademico e il mondo del lavoro. L’orientamento dovrebbe partire dalla scuola primaria perché è in quel momento che si forma la mente dell’individuo e si coltivano i sogni, le attitudini di una persona. Spesso ancora si rincorrono i classici settori, magari già sovraffollati, mentre ci sono talenti che potrebbero essere investiti in altri campi. Se solo li conoscessero. Vorrei fare una proposta: sarebbe interessante che le scuole andassero a visitare le piccole imprese, non tanto con l’alternanza scuola-lavoro, un sistema che non ha avuto un grande successo, ma per far sì che i ragazzi s’innamorino delle professioni vedendole. E torno all’esempio di cui parlavo prima: in Italia ci sono solo 4-5 scuole che insegnano come fare calzature, mentre l’Italia è il primo produttore in Europa. Con addetti del settore che superano in media i 45-50 anni. Non possiamo permetterci di disperdere il nostro prezioso know-how. Per questo è fondamentale raccontare ai giovani le professioni. Noi, come istituzione, siamo sempre stati abituati a suggerire la figura professionale alle imprese, non a rincorrere le esigenze del momento, facciamo tanta ricerca e questo è un po’ il segreto del nostro successo. Il 90 per cento dell’industria italiana è formato da piccole e medie imprese che lavorano nel campo della creatività, dal food alla comunicazione, dal fashion al design. Realtà che ci rappresentano nel mondo. E qui vorrei sottolineare un altro problema che riscontriamo come realtà formativa, quello della competenza linguistica: troppo spesso gli studenti arrivano alle accademie con una conoscenza scarsa dell’inglese. E mentre l’estero chiede sempre più il Made in Italy, noi non sappiamo parlare con “l’aldilà”. Uno scollamento che ci rattrista. A Napoli abbiamo 160 immatricolati l’anno nel corso di moda, ma, in media, solo 15 riescono a entrare nel percorso in inglese. Bisogna lavorare molto anche su questa competenza fondamentale.

Di Sabrina Miglio