“Puxe” vuol dire “tirare”, non “spingere”! Ho di nuovo quasi rotto la porta di vetro di ingresso all’università. Avrò fatto questo errore almeno cinquanta volte nell’ultima settimana. Nell’ultima settimana mi sono trasferito a Bragança, nel nord del Portogallo. Non nascondo di essere un po’ preoccupato perché ho scoperto quanto il mio inglese sia elementare, e che anche all’estero, in una città universitaria, può essere poco diffuso tra gli abitanti del posto. Che San Google sia con me! Mi è chiaro che le prime settimane sono importanti per conoscere gli altri studenti in Erasmus, perché siamo tutti appena arrivati e tutti soli. Mi limito agli altri studenti internazionali non perché sia razzista verso i locals ma perché le uniche parole che conosco in portoghese sono “Cristiano Ronaldo” e “Rui Costa”, quindi ho oggettive difficoltà di comunicazione. In fondo il portoghese, benché sia una lingua latina, è più ostico del previsto! Per fortuna in inglese la mia R moscia non esiste, nessuno mi conosce e nessuno sa niente di me, quindi nessuno ha aspettative né preconcetti su di me; in sintesi ho tutte le carte in regola per creare il mio network qui.
È passato già un mese da quando sono arrivato. Contrariamente a tutte le mie aspettative la mia prima esperienza lontano dalla famiglia si sta rivelando positiva: non mi pesa, anzi mi dà una certa sensazione di libertà andare a fare la spesa, cucinare, lavare la camera e perfino stirare (Oddio! Stirare è un po’ un problema perché devo salire a casa dei vicini che hanno il ferro!). Con i miei coinquilini mi trovo bene, intendo dire che sono persone corrette e pulite, perché non li conosco bene, in quanto le tre ragazze brasiliane non parlano inglese e io non parlo portoghese, mentre il ragazzo di Foggia è bravo, ma un po’ orso. In ogni caso la compagnia non mi manca! È da innumerevoli giorni di fila che ricevo ospiti a pranzo o a cena, in quanto tutti vogliono provare la cucina italiana fatta da un italiano. Ho scoperto che gli stereotipi hanno anche degli effetti positivi! Però devo smetterla di cucinare solo carbonara o ragù, o non arriverò vivo a luglio: le prossime volte, pasta con la verdura o legumi anche con gli ospiti. È stato importante anche aver fatto gruppo con gli altri quattro italiani a Bragança, per studiare insieme e fare il pranzo della domenica, usanza, a quanto pare, principalmente italiana.
Siamo al giro di boa del mio Erasmus: due mesi. Ho finalmente risolto ogni problema con il mio Learning Agreement (piano di studi) e non è stato facile. Le lezioni continuano ad essere incomprensibili, benché ora già sappia presentarmi e ordinare nei negozi in portoghese, ma è importante andarci sia per praticarlo, che per conoscere i compagni di classe. Per fortuna alcuni dei brasiliani conoscono l’inglese, mi stanno aiutando a farmi un’idea di ciò che dicono i professori a lezione, e sto poco a poco iniziando a integrarmi nella loro comitiva. È stato facile, bastava chiedere e parlarci! Questi due mesi sono stati importanti anche perché ho potuto viaggiare molto all’interno del Portogallo, grazie alle gite organizzate dalla sezione locale di ESN ed altri viaggi organizzati spontaneamente con gli altri studenti internazionali con cui stavo legando di più. La concomitanza di un carico di studio basso, la borsa di studio appena arrivata, tante persone da conoscere e una nazione intera da esplorare è stata una vera manna dal cielo. Ognuno dei viaggi è stato un’esperienza indimenticabile per la bellezza dei luoghi, ma ancor più per i momenti di condivisione con quelli che ormai erano dei veri amici.
È finita così. Cinque mesi passano in cinque minuti. Sono all’aeroporto stracarico di bagagli. Molti più di quelli con cui ero partito. Porto a casa la consapevolezza di sapermi adattare a realtà diverse dall’ordinario, di saper uscire dalla comfort-zone a cui ero abituato; aggiungo che farò di tutto per non tornarvi mai più perché mi son reso conto del fatto che mi appiattisse, in qualche modo mi tarpasse le ali. Nel bagaglio ho messo tanto problem-solving: i problemi, specie quelli burocratici con le università, mi hanno insegnato che ogni problema si può risolvere, con le buone o con le cattive, che devo essere in grado di risolverlo da solo ma anche chiedere consigli. Inoltre in valigia ho messo la conoscenza dell’inglese e del portoghese, lingue in cui sono ormai fluente, e in più ben 36 CFU conseguiti con il massimo dei voti. Mai un semestre a Bari fu tanto proficuo! Infine il carico di più grande valore lo fa la mia saudade per il periodo lì trascorso, i miei ricordi. Saudade è una parola portoghese senza traduzione italiana che indica una specie di ricordo nostalgico, affettivo, di un bene speciale che è assente, accompagnato da un desiderio di riviverlo o di possederlo. In molti casi una dimensione quasi mistica, come accettazione del passato e fede nel futuro. Sì, io sto con saudade del mio Erasmus, cioè dei sei mesi più belli della mia vita, e se anche non dovessi rivedere le persone che l’hanno caratterizzato, le porterò con me finché Alzheimer non ci separerà.
Il lettore ora si chiederà perché il perché di questo lungo e tedioso sproloquio. Per tentare di esprimere con un esempio il concetto che l’Erasmus è un’occasione unica di crescita personale, che cambia per sempre la maniera di vedere la vita. È vero che è complesso da organizzare, che bisogna trovare compromessi con i professori, pianificare con molto anticipo la propria carriera universitaria, produrre una montagna di documenti e abbandonare il piano di studi standard per adattarlo agli esami da fare all’estero, ma anche questo fa parte del gioco, del salpare dal proprio porto sicuro. L’Erasmus non è facile, ma è bellissimo.
Nata nel 1994, ESN Italia è la branca italiana di Erasmus Student Network, la più grande organizzazione di studenti volontari in Europa. Ogni anno sono circa 2000 i volontari italiani che si impegnano nell’accoglienza degli studenti Erasmus per l’arricchimento della società attraverso gli studenti internazionali.